Insegnare a (bravi) studenti di Dottorato ha un lato positivo, si impara un sacco. Gli studenti del mio corso a Bologna su Economics of Financial Crises hanno discusso qualche giorno fa un interessante lavoro di Valerie Cerra and Sweta Chaman, che non conoscevo, “Growth Dynamics: The Myth of Economic Recovery“, pubblicato su American Economic Review 2008, 98:1, 439–457.
Il lavoro è interessante perché presenta un’analisi delle conseguenze sulla dinamica del PIL delle crisi finanziarie che si sono verificate in 190 paesi tra 1960 e 2001: crisi di cambio, crisi bancarie, crisi gemelle (bancarie e valutarie), e crisi politiche e guerre civili.
La conclusione più, importante, e in parte sorprendente, è questa:
- le crisi finanziarie (e politiche) hanno effetti permanenti sul reddito nazionale: dopo 10 anni i paesi recuperano in media meno del 1% rispetto al punto più basso della caduta (v.figura sotto)
- gli effetti sono diversi a seconda del tipo di crisi: quelle valutarie sono associate ad una caduta media del 4% del PIL , quelle bancarie del 7.5%, le crisi “gemelle” del 10% , le guerre civili al 16%.
- Gli effetti sono diversi per i paesi a seconda del loro livello di reddito. Ad esempio,le crisi bancarie hanno conseguenze più gravi nei paesi avanzati, quelle di cambio nei paesi a reddito medio e basso (il che era ragionevole attendersi).
Quale lezione trarre circa il dibattito sull’ uscita dal’ Euro?
- Intanto, che bisogna diffidare da argomenti tipo “nel 1992 abbiamo svalutato e non è successo nulla” , oppure “l’Argentina dopo la crisi del 2001 si è ripresa nel giro di un paio di anni” : chi basa le proprie “inferenze” su una (o due) osservazioni è un ciarlatano.
- Le conseguenze dipendono dal tipo di crisi: un conto è una la svalutazione del cambio (nel paper una crisi valutaria equivale a forte deprezzamento e/o caduta di riserve), un altro una crisi valutaria accompagnata da una crisi bancaria , un altro è una crisi valutaria + crisi bancaria + crisi di debito sovrano, un altro ancora è crisi valutaria + crisi bancaria + crisi di debito sovrano+ crisi politica.
- Se gli autori hanno fatto bene i conti (e chi non è convinto può scaricare qui i dati e riprovare a farli) queste crisi hanno in comune due aspetti: gli effetti sul PIL sono negativi e permanenti .
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Da profano, ma interessato all'argomento, penso di interpretare bene il pensiero del post ricorrendo ad un paragone.
In sostanza, mi si dice che se, correndo, mi capita di cadere, per quanto possa essere rapido a rialzarmi sarà molto difficile, se non impossibile, recuperare il tempo perso nell'accusare il colpo e nel rialzarmi. E che comunque nell'analisi della caduta bisogna vedere quali ne sono le cause, che sono molteplici (asperità del terreno, eccessiva stanchezza dovuta ad uno sforzo eccessivo, etc….).
Nel 1992, il "corridore italia" ha quindi perso del tempo per il solo fatto di cadere e questo è un dato incontrovertibile.
Sarebbe allora meglio concentrarsi sulla prevenzione delle crisi, immagino. Se non si cade, non si perde tempo (ossia si evitano effetti idesiderati e comunque permanenti).
Tuttavia, credo vi sia anche un altro punto di vista da cui vedere la questione. Una volta che si è caduti, infatti, pr nella consapevolezza che dovremo comunque pagare il costo della caduta, non serve solo pensare a cosa si poteva fare per non cadere ma a cosa si può fare per rialzarsi e riprendere la corsa. Rimanere a terra, non credo sia una soluzione.
E sotto questo aspetto, dal file excel allegato al post mi sembra di capire che il "corridore italia" non sia stato ostacolato dalla svalutazione di allora.
Il documento contrassegna col numero 1 gli anni 1991, 92 e 93 sotto la voce "currency crisis". Coerentemente, se non interpreto male quanto leggo, il tasso di crescita (growth rate), picchia verso il basso: dal 2,87 del 1989, scende a 1,97 nel 1990, 1,39 nel 1991, 0,76 nel 1992 e passa in negativo (-0,88), nel 1993. Tuttavia, nel 1994 passava a 2,21, per aumentare nel 1995 a 2,92.
La cosa che, da cittadino, mi lascia perplesso è che, ad oggi, il corridore invece è a terra e non si rialza.
Posto che pagheremo, oggi come allora, il costo della caduta, diventa straordinariamente urgente individuare subito una strada per rialzarsi. Posto che ogni scelta ha un costo, ciò che serve oggi è sapere se rimanere nell'euro ci consentirà di rialzarci e di riprendere la corsa. Se uscire consentirà di farlo più lentamente o più velocemente. Ed agire di conseguenza, senza ulteriori indugi.
A parte l'Argentina, noto che dopo un certo periodo (in grigio) il Pil riprende a salire (in molti casi in modo parallelo alla tendenza pre-crisi).
Certo gli effetti sono negativi e permanenti, quello che è perso è perso per sempre. L'esempio di Lorenzo mi sembra perfetto: per quanto si corra dopo, la "caduta" non può essere cancellata.
Ora però mi piacerebbe vedere quanto ci è costato l'euro e quanto ci costerà rimanervi. In particolare se e quando il pil ricomincerà a crescere con l'euro.
Insomma vorrei vedere una comparazione tra i due scenari, perchè presentarne uno solo non ha senso e non è serio (per usare la sua espressione "è da cialtrone").
Vorrà mica farci credere che i danni provocati dall'euro non sono (e saranno) ugualmente negativi e permanenti?
Inoltre mi pare che "crisi bancaria + crisi di debito sovrano + crisi politica" ci sono anche adesso, quindi l'euro, se anche non fosse la causa (ma secondo me lo è) non può essere la soluzione.
Infine, se a questi addendi aggiungiamo: + austerità (imposta dall'UE) + impossibilità di svalutare (ovvero moneta unica) cosa salta fuori?
Il paragone di Lorenzo Carmineo mi sembra appropriato.
Circa il commento di Greta, premesso che non voglio far credere nulla a nessuno, mi limito a queste osservazioni.
1) Una delle poche cose sulle quali la teoria economica è concorde è la cosiddetta "neutralità" della moneta. Semplificando, nelmedio periodo variazioni nell' offerta di moneta fanno variare nella stessa propozione tutti i prezzi (dei beni , dei fattori, il tasso di cambio) e dunque non hanno effetti sull'economia reale. Nel breve periodo una svalutazione migliora la competitività riducendo il prezzo dei beni domestici rispetto a quelli esteri, ma a nel tempo questo effetto viene eroso dall'aumento dei prezzi interni che ripristina la situazione iniziale. Non soprende perciò che la teoria della crescita, da Solow fino ai pià recenti contributi di crescita "endogena" si basi su modelli dove la moneta non gioca alcun ruolo. La crescita della produttività,e dunque dei consumi e del reddito procapite, dipende da ricerca e sviluppo, innovazione tecnologica, concorrenza nei mercati dei beni e fattori, dal capitale umano, dalle istituzioni politiche e dalla corruzione, dal livello e dal tipo di imposte etc. Illudersi che stampando moneta, ovvero recuperando sovranità monetaria" si possa rimediare in modo durevole al declino di un paese è un illusione. In economia non ci sono scorciatoie)o free lunches).
Quanto al fatto che crisi del debito sovrano + bancaria etc ci sia gia adesso, questo vale per la Grecia e Cipro ma non (ancora) per noi
Grazie per la risposta.
Estremizzando al massimo la sua spiegazione ciò vorrebbe dire che ci potrebbe essere una moneta unica mondiale e non cambierebbe neinte?
Quando parlo di ritorno alla lira mi riferisco non a mera stampa di moneta, ma a utilizzare lo strumento del cambio in particolare in momenti critici come lo è stata la crisi innescata dal fallimento di LB. Mi pare che abbia funzionato bene se un paesino piccolo come l'Italia stava nel G7.
Poi aggiungo che sarei favorevole alla ricongiunzione Banca d'Italia – Tesoro.
Per tornare all'euro, siccome in molti paesi il problema è il debeto estero (e i relativi interessi impossibili da pagare), non crede che, essendo stata abolita quasi completamente una regolamentazione, una moneta "debole" attrarrebbe meno gli investimenti esteri specultavivi? Non credo che i tedeschi avrebbero investito tanti capitali in dracme.
E cosa c'entra la crescita di produttività con quella dei consumi?
Basta produrre di più per vendere? A me pare che quello attuale sia un problema di DOMANDA non di offerta.
Stare nell'euro significa accettare supinamente l'austerità (+ tasse – spese) che impone la Germania. I nostri governi non sono liberi di fare la politica economica più giusta per il nostro paese in questo momento (sostenere la domanda).
Quanto a debito sovrano + bancaria etc se è successo in Grecia e Cipro vuol dire appunto che se l'€ non ne fosse la causa non ci protegge da questi rischi e non può essere la soluzione. Chi non ci dice che domani capiti in Slovenia e dopodomani a noi?
telegraficamente:
-una moneta mondiale sarebbe negativa perchè il mondo non è un area monetaria ottimale
– l'italia ha avuto un forte sviluppo durante il miracolo economico perchè la produttività cresceva permettendo a salari e consumi di fare altrettanto.
quando questo processo è finito ha tentato di porvi rimedio con la scorciatoia della svalutazione che le ha permesso di sopravvivere continuando a rinviare le necessarie riforme
– il problema di breve periodo è di domanda, ma quello del ristagno ecomico egli ultimi 20 anni è di offerta e si spiega con la teoria della crescita
– certamente l'euro non ci protegge (più) dalle crisi di debito
– secondo me noi rischiamo il default e allora saremmo costretti ad uscire dall'euro andando incontro gravissime difficoltà
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Scusi le puntate….
Secondo lei quindi l'analisi "of monetary and fiscal policy under different exchange rate regimes and his analysis of optimum currency areas" che ha fruttato a Robert A. Mundell il premio Nobel sarebbero infondate?
http://www.nobelprize.org/nobel_prizes/economics/laureates/1999/index.html
A me pare invece che i fatti stiano dimostrando la validità della sua analisi e che la UE non sia una "optimal currency area".
E cosa ne pensa del "ciclo di Frenkel"?
1) arrivano capitali esteri a gog (protetti dall'euro dal rischio di svalutazione)
2) capitali prestati al settore privato (gonfiano bolle) che diventa debitore netto
3) il debito privato viene coperto dagli stati
Forse che le cose non stanno andando esattamente in questo modo?
Infine, non ci ha presentato il presunto scenario alternativo all'uscita, cioè i costi della permanenza nell'euro (quelli passati e quelli futuri).
non sono infondate. ma il problema non è quello di capire se l'Europa sia o meno un'OCA, tutti gli economisti sanno che non lo è. Ilproblema è di capire se i costi di una fuoriscita siano minori di quelli di una permanenza. Come sdice Mundell, se i paesi hanno prezzi e salari flessibili, allora possono beneficiare dall'eliminazione del cambio perchè in grado di assorbire shock negativi asimmetrici con riduzione di prezzi e salari. Che significa chi riforma rende competitivo il mercato del lavoro e dei beni (v Germania) dell'Euro si avvantaggia
– il ciclo non è di Framkel, v Rogoff e Reinhart "this time is different" per una discussione approfondita
Grazie; non voglio asfissiarla, ma se ha un blog, suppongo che sia per dialogare con i lettori.
Dunque, come immaginavo, l'EU non è un'OCA quindi l'unico modo per assorbire shock negativi è la flessibilità dei prezzi e dei salari (come ha fatto la Germania che ha finanziato l’abbassamento dei costi di produzione, facendosi carico dei sussidi da elargire alle vittime delle riforme Hartz).
Per farlo, dal 2000 al 2005 la Germania ha aumentato il debito pubblico (mentre i PIIGS lo stavano diminuendo) di circa 5 punti di Pil, quindi CONTRAVVENENDO ALLE REGOLE EU e SENZA PAGARE ALCUNA MULTA grazie anche al benestare di Berlusconi (e ora impediscono a noi di sforare il 3% con una rigidità che rasenta la follia).
Le Riforme Hartz hanno mortificato la domanda interna tedesca e hanno creato una massa di lavoratori obbligati ad accettare minijob a 400€ al mese, al di sotto della soglia di povertà (si veda il “Rapporto del governo federale sulla ricchezza e la povertà in Germania”) in uno stato ricchissimo con un surplus elevatissimo!
Dunque quello che lei propone è l'innovativissimo "modello del lavoratore cinese" (mentre i lavoratori cinesi si stanno emancipando) altrimenti detto servitù della gleba.
In pratica le famose "riforme strutturali" consistono nello sfruttamento del lavoratore, nella distruzione delle PMI e della classe media a beneficio di ristrettissime oligarchie, sempre più ristrette, sempre più immensamente ricche.
I gusti sono insindacabili, ma le pare esportabile il modello mercantilistico tedesco? Quando anche noi arrivassimo a essere competitivi e produttivi quanto la Germania, a chi esporteremmo? Cosa capita a un paese già in recessione se vengono ulteriormente tagliati i salari? L'unica spiegazione per una risposta pro-ciclica dello stato e quella che si voglia aggravare la crisi (perchè le crisi servono, come spiega bene nel post di oggi).
Non ci può essere esportatore se non c'è importatore; non può esserci creditore senza debitore, non può esserci surplus se non c'è deficit.
I PIIGS assorbivano una buona fetta dell'export tedesco; noi a chi dovremmo esportare dal momento che la stessa Germania, dopo averci strozzato comincia, ad avere qualche problemino?
Ovunque siano state applicate in toto le "riforme strutturali", si è arrivati al fallimento. Quale miglioramento nel lungo periodo potremmo aspettarci seguendo la micragnosa e antidemocratica ricetta economica tedesca che ha affossato più di mezza Europa?
Grazie per la precisazione sul ciclo che credevo di Frenkel, ma a parte il nome dell'autore, non è quello che sta succedendo? Parafrasando Rogoff e Reinhart cosa ci sarebbe di diverso questa volta? Sempre la solita storia vecchia come il mondo, la spirale del debito che serve solo a defraudare del poco che ha la povera gente e gli stati della democrazia!
Ci sarebbe molto da dire sul "buco finanziario con il Paese intorno" e sulle peripezie degli "idioti di Dusseldorf" (tanto micragnosi con i PIIGS quanto generosi con le loro banche http://www.ilsole24ore.com/art/commenti-e-idee/2011-10-22/banche-pigliatutto-081326.shtml?uuid=Aatwj2EE) che non potendo fare la voce grossa con gli USA torcono il collo ai partner europei più deboli, ma non vorrei tediarla.
Per concludere, ha scritto che l'euro non è più in grado di proteggerci e stiamo avviandoci al default che ci costringerà ad uscire andando incontro a grosse diffocoltà, non avrebbe più senso uscire in modo concordato e coordinato prima di arrivare alla tragedia?
E.C. "a gogò"
1) arrivano capitali esteri a gogò