- il recupero dell’inflazione pregressa non deve più essere considerato come base per gli aumenti salariali.
- gli aumenti dei contratti nazionali devono essere “in tutto o in parte” erogati a livello aziendale attraverso accordi aziendali di produttività.
- si devono rispettare almeno due (perchè proprio due?) dei seguenti 5 criteri
- “fungibilità delle mansioni nell’ambito dell’organizzazione aziendale”. Ovvero possobilità di assegnazione di chiunque a qualunqe mansione
- aumento del normale orario di lavoro effettivo alla soglia legale delle 40 ore settimanali.
- adozione di “modelli flessibili e multiperiodali dell’orario di lavoro”: ovvero si devono fare in media 40 ore settimanali, mall’impresa decide quando farne 60 e quando 20
- “distribuzione flessibile delle ferie”: ovvero, al massimo si potrà stare in vacanza due settimane di seguito.
- adozione di ”sistemi idonei a contemperare il fondamentale diritto alla riservatezza del lavoratore con il diritto del datore di lavoro al controllo della produttività”. Ovvero, controllo a distanza dei dipendenti.
Il Ministro pensa che bastino un po’ di incentivi elargiti in modo dirigistico per convincere la parti sociali ad accettare una riforma epocale della contrattazione salariale, che probabilmente deroga in modo considerevole dallo Statuto dei Lavoratori e richiederebbe un intervento legislativo. E’ il solito approccio paternalistico del “micro-managment”: la tentazione di imporre dall’alto “comportamenti virtuosi”, invece di ridurre i vincoli legislativi e lasciare alla contrattazione tra le parti la definizione degli accordi. Perchè invece non utilizzare le risorse destinate ai “salari produttività” per ridurre il cuneo fiscale e porre al contempo le basi legislative per una riforma della contrattazione?
Il problema della caduta competitività delle imprese italiane è gravissimo. La figura sottostante mostra l’andamento dell’indice del costo del lavoro per unita del prodotto (clup) in Italia e in Germania dal 2000 a 2012, fonte Economist Intelligence Unit. Il clup indica il costo per produrre un’unità di beni, ed è pari al rapporto tra salario e produttività oraria del lavoro. Posto uguale a 100 l’indice di entrambi i paesi nel 2000, nel 2012 il clup era arrivato a 148.8 in Germania (linea blu) e a 199.6 in Italia (in rosso), dunque con una nostra perdita di competitività di oltre il 50 punti rispetto alla Germania. Veramente il Ministro Passerà pensa di porvi rimedio in questo modo?
Enter your email address:Delivered by FeedBurner