Interessante il contenuto dell’intervento del Presidente dell’Istat Franzini sulla nota di aggiornamento del Documento di Economia e Finanza.
L’ISTAT in sostanza dice due cose importanti
- Per le imprese aumenta in media la pressione fiscale perché la introduzione della mini-IRES (imposta sul reddito delle imprese) viene più che compensata dalla eliminazione degli incentivi dell’Aiuto alla Crescita Economica (ACE) che prevedeva la deducibilità dal reddito imponibile delle ricapitalizzazioni delle imprese e del “maxi-ammortamento” degli investimenti . Questo perché la platea delle imprese a cui si applicano le minore imposte è molto più ristretta di quelle a cui si tolgono gli sgravi fiscali.
“..Nel complesso i provvedimenti analizzati generano una riduzione del debito di imposta IRES per il 7% delle imprese, mentre per più di un terzo tale debito risulta in aumento. L’aggravio medio di imposta è pari al 2,1%: l’introduzione della mini-IRES (-1,7%) non compensa gli effetti dell’abrogazione dell’ACE (+2,3%) e della mancata proroga del maxi-ammortamento (+1,5%). L’effetto complessivo è legato alla maggiore selettività della mini-IRES rispetto all’ACE e al maxi-ammortamento. Il beneficio dovuto alla detassazione prevista dalla mini-IRES riguarderebbe, infatti, una platea più ristretta di imprese. Tuttavia, rispetto al numero di beneficiari potenziali la quota di imprese totalmente incapienti risulterebbe estremamente contenuta (1,8 punti percentuali). L’aggravio fiscale, rispetto alla normativa vigente, è maggiore tra le imprese fino a 10 dipendenti. Il combinato dei provvedimenti svantaggerebbe in misura minore le imprese manifatturiere ad alta tecnologia mentre a risentire di più della mancata proroga del maxi-ammortamento sarebbe un numero limitato di grandi imprese (soprattutto nei servizi ad alta tecnologia).
L’analisi degli effetti dei provvedimenti sul costo del capitale per fonti di finanziamento mostra che, sebbene la detassazione mini-IRES riguardi gli utili reinvestiti, l’effetto complessivo dell’abrogazione dell’ACE è di ulteriore ampliamento dello squilibrio tra il finanziamento con capitale proprio e con debito, a favore di quest’ultimo.
2. Il moltiplicatore della nuova spesa pubblica prevista della manovra è basso e inferiore ad 1 (pari allo 0.7 % in 5 anni). Potrebbe essere più basso se associato ad un aumento dei tassi di interesse. Dunque il reddito di cittadinanza nelle circostanze più favorevoli farebbe aumentare il PIL dello 0.2/0.3 % in cinque anni. Lo scenario previsto da Blanchard e Zettelmeyer di una politica fiscale espansiva ma con effetti recessivi viene in sostanza confermato dalle simulazioni ISTAT.
“..Da quest’ultimo punto di vista, una prima indicazione utile può tuttavia derivare dall’analisi dei moltiplicatori, i quali, come noto, quantificano l’effetto su una variabile endogena, come il Pil, di cambiamenti permanenti delle variabili esogene, in questo caso gli strumenti di politica di bilancio. L’analisi è realizzata attraverso il modello macroeconomico dell’Istat (MeMo-It)2, che stima un incremento del Pil pari allo 0,7% in corrispondenza di un aumento della spesa pubblica pari all’1% del Prodotto interno lordo. L’effetto del beneficio sul Pil terminerebbe dopo 5 anni, quando la riduzione dell’output gap e il conseguente aumento dei prezzi annullerebbero gli effetti positivi della spesa pubblica.
Gli effetti positivi di questo scenario sono raggiunti sotto l’ipotesi che nello stesso periodo non si verifichino peggioramenti delle condizioni di politica monetaria, ovvero che non ci siano aumenti dei tassi di interesse di breve termine. Sotto l’ipotesi che il Reddito di cittadinanza corrisponda a un aumento dei trasferimenti pubblici pari a circa 9 miliardi, secondo le simulazioni effettuate il Pil registrerebbe un aumento dello 0,2% rispetto allo scenario base. Questa reattività potrebbe essere più elevata, e pari allo 0,3%, nel caso in cui si consideri l’impatto del Reddito di cittadinanza come uno shock diretto sui consumi delle famiglie.”