(da lavoce.info 13 maggio 2011)
Il 9 maggio l’agenzia di rating Standard & Poors ha nuovamente declassato il debito greco riducendone la valutazione da BB- a B, per quello a lungo termine, e da B a C per quello a breve termine. Il downgrading riflette il fatto che gli obiettivi fiscali (la riduzione del un deficit al 9,6% del PIL) non sono non sono stati centrati (il deficit è risultato del 10,5%) ed il giudizio che debito greco sia difficilmente sostenibile. Nel comunicato S&P sostiene perciò improbabile che la Grecia possa tornare a finanziarsi sui mercati finanziari entro il prossimo anno, e stima al 50% il “taglio di capelli” nel valore del debito che potrebbe essere necessario a ripristinarne la solvibilità. In effetti tutti i principali commentatori economici considerano inevitabile una ristrutturazione del debito sovrano, e non è un caso che le voci di un nuovo prestito di 60 miliardi alla Grecia, circolate qualche giorno dopo una nota del Wall Street Journal, siano state smentite. In effetti, un nuovo prestito servirebbe forse a guadagnare un po’ di tempo , ma non cambierebbe la sostanza delle cose. Allo stato attuale, l’unica alternativa alla ristrutturazione del debito sembra essere un forte ripresa della crescita. Vediamo perché.
La ragione sta nei dati del 2011: un disavanzo primario (d) intorno al 5% del PIL, un tasso di interesse medio sul debito (i) che il Ministro Papacostantinou dichiara (ottimisticamente?) situarsi intorno al 4,5%, un’inflazione (
) al 2,6%, un crescita negativa (n) di circa 3 punti e un rapporto debito/PIL (b) al 150%. Questi numeri implicano che sarebbe necessario raggiungere
e mantenere nel tempo un surplus primario di bilancio (d*) di 7,5 punti di PIL, solo per arrestare la crescita del debito. Per questo obbiettivo bisognerebbero fare tagli equivalenti al 12,5% del reddito nazionale (v. prima riga nella Tabella 1). Certamente un manovra di questa entità non potrebbe essere realizzata in un solo anno, e per un certo tempo l’indebitamento non potrebbe che continuare crescere.
Un nuovo prestito UE- FMI di 60 miliardi servirebbe a poco (seconda riga della tabella). Tale cifra rappresenta circa un quinto del debito greco e dunque la possibilità di indebitarsi a tassi agevolati (per esempio una riduzione, rispetto ai tassi attuali, di due punti su questo nuovi debiti) avrebbe un effetto molto limitato sul costo medio del debito, circa 40 punti base (=200 pb/5). Di conseguenza il surplus di bilancio necessario a stabilizzare il rapporto debito/PIL si ridurrebbe solo in misura marginale, dal 7,5 al 6,9% (vedi seconda riga della tabella).
Al contrario, un default parziale ridurrebbe considerevolmente l’aggiustamento richiesto: una riduzione del valore nominale del debito del 40% , in aggiunta alla riduzione dei tassi, permetterebbe di stabilizzare il debito con un avanza primario relativamente contenuto, poco più del 4 per cento del PIL. L’unica possibilità realistica per evitare un default sarebbe un ripresa della crescita: se tornasse positiva (ad esempio al 1%) renderebbe sufficiente un misero 1,3% di avanzo primario (v. ultima riga) a stabilizzare il debito. Ma i mercati non sembrano proprio crederci.
Tabella 1
Nota: d = disavanzo primario//PIL, i = costo medio del debito, Π = tasso di crescita dei prezzi al consumo, r = tasso di interesse reale, b = rapporto indebitamento lordo settore pubblico/PIL, d* = rapporto disavanzo primario/PIL necessario per stabilizzare il debito, d*- d = manovra necessaria in rapporto al PIL
Fonti: EIU, dichiarazioni del Ministro greco Papacostantinou, elaborazioni dell’autore.