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Una delle questioni più dirimenti nel dibattito tra economisti è quella del cosiddetto moltiplicatore della spesa pubblica: se la spesa pubblica aumenta di 1 euro, di quanto aumenta il reddito nazionale? La questione non è solo “accademica”: l’opportunità di contrastare la recessione con una manovra fiscale dipende in larga misura dalla risposta che si da. Il disaccordo tra gli economisti non potrebbe essere maggiore. I keynesiani pensano che il reddito aumenterà di un multiplo di 1 euro, perché la spesa iniziale accresce il reddito, che sua volta genera nuova spesa e reddito e cosi’ via. Questo effetto è tanto più grande
a) tanto più bassi sono i saggi marginali di imposta (perché ogni round di spesa accresce di più il reddito disponibile dei consumatori)
b) tanto minore la frazione di reddito spesa in beni importati (perché le importazioni si traducono in maggior reddito estero , effetto spillover, a scapito di quello nazionale)
c) tanto più accomodante è la politica monetaria (i tassi di interesse non aumentano)
d) quanto più elevata è la mobilità dei capitali se la banca centrale mantiene fissa pa parità del cambio
e) tanto meno l’aumento di spesa a si accompagna a maggiori imposte.
f) tanto più si è lontani dal pieno impiego
Nel modello neoclassico invece un aumento di 1 euro della spesa pubblica riduce i consumi: le famiglie sanno di essere più povere perché dovranno pagare più tasse in futuro e dunque ridurranno le spese. La riduzione dei consumi sarà maggiore
f) tanto più l’aumento di spesa è percepito come permanente
g) tanto più imposte hanno effetti distorsivi sull’attività economica
La questione può essere risolta solo guardando i dati, ma la letteratura empirica è tutt’altro che unanime: per dirimerla bisognerebbe essere in grado di isolare gli effetti della spesa pubblica dagli elementi sopra citati. Non solo: la spesa pubblica, oltre ad influenzare il reddito, potrebbe esserne influenzata (problema della endogeneità), rendendo l’indagine empirica ancora più complicata (se ad esempio il governo usa la spesa per contrastare la caduta dell’occupazione, oppure se la recessione fa crescere automaticamente i trasferimenti per la cassa integrazione).
In un recente articolo alcuni economisti (Acconcia, Corsetti e Simonelli) hanno avuto una buona idea: per evitare le difficoltà ricordate, anzichè usare i dati aggregati di PIL spesa pubblica etc. hanno pensato di guardare alle province italiane, ed in particolare a quelle cui appartengono i comuni commissariati per infiltrazioni mafiose in base al DL n.164 del 31/05/1991. In questi comuni, concentrati sopratutto nelle province di Napoli, Palermo, Reggio e Caserta, il commissariamento ha portato alla sospensione dei finanziamenti agli investimenti in infrastrutture. Dunque, la storia ci offre un “esperimento (quasi) naturale” per valutare l’impatto dei tagli sul reddito. Le stime sugli effetti dei tagli mostrano che ogni euro di tagli agli investimenti pubblici in infrastrutture riduce il valore aggiunto procapite delle province di 1.4 euro nel breve periodo e di 2 euro nel lungo periodo.
C’è da fidarsi? Per alcuni aspetti la metodologia impiegata potrebbe addirittura sottostimare il moltiplicatore.
• perchè si usano i dati delle province, entità piccole, per le quali gli effetti di spillover sono sicuramente più elevati che per i calcoli su base nazionale (v. punto b).
• perchè il governo potrebbe allocare maggiori investimenti proprio nelle aree depresse.
(ma gli autori mostrano che questi effetti sono trascurabili).
Infine, è possibile che l’effetto dei tagli sia maggiore di quello di aumenti di spesa.
Se prendiamo per buone le stime degli autori allora ne segue un’ importante conclusione: tra 2008 e 2010 gli investimenti pubblici (spese in conto capitale della pubblica amministrazione) sono calati del 14% (fonte: Banca d’Italia, Supplementi al Bollettino Statistico), passando da 52,6 a 45,5 miliardi di euro. Applicando i moltiplicatori stimati per valutarne l’effetto sul PIL si ottiene una riduzione consistente: 6/10 di punto nel breve periodo e 9/10 di punto nel lungo periodo.