Con una circolare inviata l’8 gennaio ai presidi, il ministero dell’Istruzione ha stabilito che il numero di alunni “stranieri” per classe non dovrà superare il tetto del 30% (il ministro Gelmini ha precisato che dal computo degli “stranieri” vanno esclusi gli alunni nati in Italia, ma privi di cittadinanza italiana, circa il 35% degli “stranieri”). Il fine apparente è quello di evitare che le difficoltà (linguistiche, di apprendimento?) degli stranieri si ripercuota negativamente sull’apprendimento degli italiani, da un lato, e contemporaneamente facilitare l’integrazione degli stranieri.
Rispetto ad una precedente proposta della Lega, le classi separate per gli “stranieri”, questa iniziativa sembra largamente preferibile. Rimane l’impressione che, come per il “processo breve”, ci si limiti ad enunciare un obiettivo (fiat scuola!), senza specificare come, e con quali mezzi, attuarlo. In particolare: con quali criteri saranno scelti gli studenti da trasferire? Come verranno finanziati i costi di trasporto? Come si risolveranno i problemi di eccessi/carenze di insegnanti che seguiranno?
E’ utile fare un esempio dei problemi di applicazione che si potrebbero verificare laddove convivono scuole con bassa e alta presenza di stranieri. Consideriamo un comune dove sono presenti due scuole, A e Z (o due comuni limitrofi, ciascuno con una scuola): nella prima scuola (A) le classi, composte da 20 alunni, hanno una bassa percentuale di stranieri (in viola nella Figura 1, clicca per ingrandire), 1 su 20, (il 5%); nella seconda invece gli stranieri sono in maggioranza, 13 su 20 (il 65%).
Soluzione 1: Tutti si muovono
Se è vero che l’apprendimento degli alunni, come sembra trasparire dalla filosofia che ispira il provvedimento, migliora, a parità di rapporto insegnanti/alunni, tanto più omogenee sono le classi, la soluzione ottimale,in assenza di costi di mobilità, consiste nel ripartire gli stranieri (14 in tutto) e gli italiani (26) equamente (v. Figura 2, clicca per ingrandire) creando in entrambe le scuole delle classi con 7 stranieri e 13 italiani (il 35% di stranieri, vicino al tetto Gelmini).
E’ questo l’obiettivo del provvedimento? Si noti che questa soluzione richiederebbe di trasferire 6 stranieri (per classe) dalla scuola Z alla scuola A, e 6 italiani dalla scuola A alla scuola Z. Ecco dunque alcuni problemi che si porrebbero: 1) costi di trasporto: ogni mattina una ampia frazione di studenti (il 30% nell’esempio) andrebbe trasferita (avanti e indietro): quanto costa e chi paga?; 2) parità di diritti: come verrebbero scelti gli italiani e gli stranieri da “riallocare”, senza violarne la parità di diritti?
Soluzione 2: si trasferiscono solo gli stranieri.
In questo caso si risparmierebbe costi di trasporto degli alunni, ma si porrebbe, accanto ai precedenti, un nuovo problema: il trasferimento degli insegnanti. Infatti, nella scuola Z rimarrebbero solo 11 alunni per classe, mentre in A gli alunni sarebbero 29. Dunque si renderebbe necessario trasferire anche gli insegnanti per non penalizzare l’apprendimento nella scuola A e favorire Z . Come poi applicare il tetto del ministro nei comuni (Prato, Milano, Mantova), con fortissima concentrazione di alunni stranieri?
Per concludere, se risulta condivisibile l’obiettivo del provvedimento, la sua applicazione sembra piuttosto complicata. E’ lecito allora porsi una domanda: invece di spendere risorse per trasportare studenti su e giù, non sarebbe preferibile usarle per accrescere il numero di insegnanti nelle scuole in difficoltà? (la voce.info, 14/1/2010, Roubini.com (English version))