L’Europa al tavolo delle trattative con Trump: strategia, obiettivi e strumenti

La recente sospensione, da parte dell’Amministrazione americana, dei nuovi dazi “reciproci” — in attesa di una conferma o di una smentita — richiede che l’Unione Europea si presenti al tavolo delle trattative con posizioni e proposte ben definite. È plausibile ritenere che la retromarcia del Presidente Trump derivi, almeno in parte, da una reazione negativa dei mercati finanziari, dimostrando che, pur basandosi su elementi ideologici e capricciosi, l’azione americana non trascura le ripercussioni economiche e politiche delle proprie misure.

La Strategia Europea: carota e bastone

L’UE si prepara a negoziare proponendo due elementi fondamentali:

  • La carota: l’azzeramento dei dazi reciproci tra UE e USA, misura che rappresenterebbe un incentivo positivo per il miglioramento della cooperazione commerciale bilaterale.
  • Il bastone: l’attivazione, attraverso lo strumento anti-coercitivo (Anti-Coercion Instrument, ACI) — entrato in vigore il 27 aprile 2024 — di una serie di contromisure specifiche. Tale strumento consente di applicare aumenti mirati dei dazi, limitazioni selettive sull’importazione di alcuni beni o servizi tramite quote, esclusione delle imprese americane dagli appalti pubblici europei, imposizione di condizioni restrittive per acquisizioni strategiche e sospensione di concessioni commerciali.

Obiettivi delle contromisure europee

Per rafforzare la propria posizione contrattuale, è necessario che le misure di risposta perseguano una duplice finalità:

  1. Minimizzare le ripercussioni negative domestiche: le contromisure devono essere progettate per ridurre al minimo l’impatto su consumatori e imprese esportatrici europee, rafforzando così la credibilità negoziale dell’UE.
  2. Colpire selettivamente l’Amministrazione Trump: l’obiettivo è indebolire il sostegno politico al Presidente e colpire gli interessi economici dei suoi principali alleati.

Il consenso politico può essere eroso attraverso misure mirate ai settori economici più rilevanti negli Stati dove il supporto elettorale a Trump è maggiore. La   Tabella 1 elaborata con l’ausilio di ChatGPT (dati stimati), mostra i cinque settori produttivi con il maggior peso economico (misurato dal rapporto tra il valore aggiunto settoriale e il valore aggiunto totale dello Stato) in ciascuno degli Stati in cui il voto per Trump ha superato il 50% – dal Wyoming (71,6%) fino alla Pennsylvania (50,1%). I settori principali comprendono l’estrazione (carbone, petrolio, gas), la produzione di elettricità, i trasporti, l’agricoltura, il settore alimentare, la chimica, il turismo e l’immobiliare. Colpire direttamente le basi economiche degli Stati pro-Trump potrebbe forse rafforzare la narrativa populista trumpiana dell’“America contro il mondo”, ma sarebbe un’arma negoziale efficace.

Quanto a colpire il “portafoglio”, le contromisure dovrebbero mirare ad aumentare la pressione politica dei principali finanziatori della campagna elettorale trumpiana contro i dazi. La Tabella 2  riporta i 15 maggiori donatori, classificati per settore di attività. Oltre all’ aerospaziale (Elon Musk, Robert Bigelow), si trovano soggetti attivi nei settori immobiliare, turistico, energetico, tecnologico, finanziario. È anche a questi comparti che dovrebbero essere rivolte misure mirate.  Prendere di mira grandi aziende americane presenti sul mercato europeo potrebbe avere l’effetto collaterale di allontanare ulteriormente gli investimenti esteri diretti in Europa, che è uno gli obiettivi di Trump. Ma nella fase attuale a ridurre drasticamente  questi investimenti ci ha già pensato l’Amministrazione americana.

Strumenti a disposizione

Come già discusso in un mio precedente contributo, l’imposizione di dazi comporta un trasferimento di risorse a danno dei consumatori nazionali e delle imprese estere esportatrici, e favorisce le imprese domestiche nel modo meno efficiente: proteggendole dalla concorrenza internazionale e riducendone gli incentivi all’innovazione e alla produttività. È quindi opportuno che l’Unione Europea limitare l’uso dei dazi e privilegiare:

  • accordi di liberalizzazione commerciale con paesi terzi,
  • imposte sugli investimenti diretti negli Stati Uniti effettuati da imprese europee che intendano delocalizzare la produzione.

Uno strumento alternativo e innovativo (oltre a quello di limitare l’elusione fiscale) consiste nell’applicazione per le grandi imprese americane che operano in Europa nei i settori identificati sopra, di una licenza d’accesso al mercato, da assegnare tramite asta pubblica, accompagnata da un tetto massimo (price-cap) al prezzo del servizio offerto. La logica è semplice: queste grandi imprese, si pensi a Airbnb (turismo) o Dropbox (dati), godono di un potere di mercato significativo e praticano prezzi superiori a quelli concorrenziali. L’asta delle licenze con price-cap, permetterebbe di trasferire parte degli extraprofitti all’UE, con un duplice beneficio:  aumentare le entrate in bilancio e beneficiare i consumatori europei. Non si avrebbero dunque le inefficienze standard legate ai prezzi amministrati, quali eccesso di domanda e razionamento, proprio perché le grandi multinazionali fissano prezzi maggiori di quelli concorrenziali.  L’applicazione pratica di questo strumento potrebbe risultare tecnicamente complessa e politicamente sensibile: gli Stati Uniti potrebbero reagire con misure ritorsive, e le multinazionali potrebbero aprire contenziosi legali. Queste considerazioni non ne minerebbero l’efficacia in sede negoziale.

Il ruolo della BCE

L’approccio di Trump alla politica economica internazionale si fonda sullo svuotamento delle istituzioni multilaterali — dal WTO al framework delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico — e su una strategia mercantilista basata su dazi e svalutazione competitiva del dollaro, secondo una logica “beggar-thy-neighbor”.

In questo contesto, la Banca Centrale Europea dovrebbe svolgere un ruolo attivo nel ripristinare la cooperazione monetaria tra maggiori banche centrali, con l’obiettivo di preservare la la stabilità dei tassi di cambio reali.  Si dovrebbe tentare di coinvolgere anche la Federal Reserve, che  ne trarrebbe beneficio se la cooperazione internazionale permettesse agli Stati Uniti di limitare l’inflazione importata a causa di dazi e svalutazione del dollaro. Contare su un dialogo monetario strutturato con la Fed potrebbe rivelarsi difficile,  ma Powell, al suo secondo e presumibilmente ultimo, mandato, potrebbe rivelarsi relativamente resistente alle pressioni politiche dell’Amministrazione americana.