(English version on roubini.com)Si è spenta sabato a Londra una delle più belle voci della storia del rock , quella di una fragile ragazza ebrea inglese, Amy Winehouse. Il suo nome va ad aggiungersi alla lunghissima lista di musicisti rock , da Jimi Hendrix, Jim Morrison, Brian Jones, Janis Joplin, a Kurt Cobain, consumati da una “vita spericolata” e morti per overdose, suicidio, alcool, o finiti assassinati, come John Lennon. Gli “artisti maledetti” non mancano anche nella pittura e nelle arti visive (da Gaugin, Jackson Pollock, Georgia O’Keeffe fino a Van Gogh, Arshile Gorky and Mark Rothko), e nella letteratura, dove grandi scrittori soffrirono di depressione (Dickinson, Eliot, Poe, Balzac, Conrad, Dickens, Emerson, Faulkner, Fitzgerald, Ibsen, Melville, Tolstoy), e, in alcuni casi, finirono suicidi (Ernest Hemingway, Virginia Woolf).
Rock e Jazz
I rockers maledetti non sono che gli epigoni di grandi jazzisti, tra i quali i “drugs addicts” contano grandissimi musicisti come Chet Baker, Charlie Parker, Billie Holiday, Bill Evans, Hampton Hawes, per citare solo quelli a me più cari. Ma mentre molti di questi musicisti avevano ottenuto il successo solo dopo stenti e sofferenze, si pensi a Billie Holliday che aveva un passato di prostituta, Amy Winehouse ha raggiunto fama e successo mondiale ancora giovane. Spiegare scelte estreme e definitive come quella di autodistruzione o suicidio non è facile, e non lo è in particolare per la teoria economica. Ma cosa sappiamo sull’ultima più radicale e definitiva delle scelte delle persone? Intanto abbiamo alcuni dati stilizzati sui suicidi.
Evidenza Empirica
Dal sito del World Health Organization apprendiamo che
– il fenomeno colpisce in misura molto diversa tutti i paesi del mondo (mancano i dati sull’Africa): si passa da oltre 13 suicidi per 100mila abitanti nei paesi nordici e nell’ex Unione Sovietica, ai 6,5. -13 nel Nord America, India e Oceania, a meno che 6,5 suicidi nell’Europa Meridionale ed in America del Sud (v, figura). Questo lascia intendere che i fattori culturali e religiosi giochino un ruolo molto importante.
– i tassi di suicidio femminile sono molto inferiori a quelli maschili, ed entrambi aumentano in modo (quasi) continuo con l’età (vedi grafico sotto, fonte World Helath Organization);
– la relazione tra tassi di suicidio nei diversi paesi e reddito procapite (aggiustato per la parità dei poteri d’acquisto, fonte Banca Mondiale) è ambigua. Sotto mostro l’esito di una regressione non lineare che ho fatto sui dati sezionali prima descritti. I suicidi (maschili) prima aumentano all’aumentare del reddito pro-capite, fino ad un reddito di 15,870 USD annui, e poi rimangono sostanzialmente invariati . Altri fattori, oltre a quelli culturali, quali l’eta, lo stato di
salute mentale, il comportamento del gruppo di riferimento, la situazione familiare, la socializzazione etc. probabilmente giocano un ruolo decisivo.
La Teoria Economica del Suicidio
Guardando su JSTOR, il sito dove si trovano online le principali riviste scientifiche, il contributo economico più interessante che ho trovato è quello di Daniel S. Hamermesh e Neal M. Soss, “An Economic Theory of Suicide” (Journal of Political Economy, Vol. 82, No. 1, Jan. – Feb., 1974) pp. 83-98). Se si considera come razionale la scelta del suicidio, allora un individuo sceglierà di suicidarsi (se e ) quando il valore scontato della soddisfazione che si aspetta ottenre dalla sua vita residua diventa inferiore al suo attaccamento alla vita. Per dirla con Schopenauer
“. . as soon as the terrors of life reach the point at which they outweigh the terrors of death, a man will put an end to his life. [On Suicide]
Le implicazioni della teoria sono tre. La prima è che ci si aspetta un maggior incidenza del suicidio per le coorti più anziane della popolazione, quelle a cui la vita residua riserva di meno. Questa implicazione è coerente con le osservazioni. La seconda è che individui che hanno tenore di vita maggiore (misurato con il “reddito” permanente”) dovrebbero suicidarsi con minore frequenza. Inoltre, se periodi di elevata disoccupazione rendono le persone più pessimiste circa il loro futuro economico, questi dovrebbero coincidere con una maggior incidenza dei suicidi. Nello studio gli autori trovano che tali ipotesi sono suffragate dall’analisi empirica, ma con una importante eccezione: per i giovani nella fascia di età tra i 25 e 34 aumenti del reddito permanente (e minore disoccupazione) appaiono al contrario associati a aumenti dei tassi di suicidio. E poi: come fa la teoria a spiegare i minori tassi di incidenza tra le donne, quando queste hanno in media redditi inferiori a quelli degli uomini?
Non sappiamo se Amy si sia volontariamente tolta la vita o se la morte abbia posto fine alla sua dolorosa storia di autodistruzione. Quello che questa vicenda ci ricorda è che, almeno per i giovani e le donne, i soldi non sono tutto.(lavoce.info 28/72011)